Lo studio è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista “Nature Communications”. Si tratta di una ricerca su geni poco conosciuti condotta dall’Istituto Veneto di Medicina Molecolare e dall’università di Padova.
La perdita di forza è una condizione condivisa da molteplici e frequenti situazioni fisiopatologiche e che impatta fortemente sulla qualità della vita dei soggetti. L’ invecchiamento, l’immobilizzazione, la malnutrizione, le infezioni, i tumori, il diabete e l’obesità, le patologie epatiche, cardiache, renali e polmonari sono tutte condizioni che frequentemente inducono la perdita di massa muscolare – processo noto con il termine di atrofia muscolare – e l’insorgenza di uno stato di debolezza ed affaticamento che causa anche una minore risposta alle terapie.
Purtroppo, i meccanismi molecolari che inducono l’atrofia muscolare non sono ancora completamente definiti, e ad oggi non esistono terapie atte a prevenirla o contrastarla. Un aiuto importante può arrivare dalla ricerca, e in particolare da quella rivolta a conoscere e studiare i geni che hanno un ruolo nella regolazione della massa muscolare, con il fine di identificare nuovi bersagli per future terapie farmacologiche.
Tuttavia, un ostacolo importante a questo tipo di ricerca nasce dall’elevato numero di geni sconosciuti tra quelli che codificano le proteine: dei 20.000 geni conosciuti, più di 5.000 sono infatti inesplorati (i cosiddetti geni oscuri o dark genes).
Uno degli scopi del laboratorio del Prof. Marco Sandri, Principal Investigator dell’Istituto Veneto di Medicina Molecolare (VIMM) e Professore Ordinario in Patologia Clinica e Direttore del Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università di Padova è proprio quello di studiare i “geni oscuri” e capirne la loro funzione all’interno del muscolo scheletrico.
In quest’ottica, i risultati pubblicati sulla prestigiosa rivista “Nature Communications” dal Gruppo di ricerca del Prof. Sandri, contenuti all’interno dello studio coordinato da Anais Franco Romero e Jean Philipe Leduc-Gaudet (primi co-autori dello studio) hanno portato all’identificazione di un nuovo gene – chiamato MYTHO (Macroautophagy and YouTH Optimizer) – importante per l’integrità del muscolo scheletrico e in particolare del processo di degradazione delle proteine e degli organelli.
Questo processo cellulare deve funzionare correttamente e in modo bilanciato: un eccesso di degradazione proteica potrebbe infatti portare a una diminuzione della massa muscolare, mentre al contrario un blocco di questo processo potrebbe portare ad un accumulo di organelli e di proteine danneggiate che impediscono una normale contrazione muscolare.
Nello specifico, i ricercatori hanno visto come l’inibizione acuta di questo nuovo gene abbia un ruolo protettivo in caso di tumore, immobilizzazione e assenza di nutrimenti. Tuttavia, poiché la funzione di questo gene è critica per la pulizia della cellula, non si può ridurre la sua funzione per periodi prolungati perché si causa un accumulo di materiale non degradato, risultando in una degenerazione cellulare e diminuzione della forza muscolare. Quest’ultima situazione sembra verificarsi in una malattia muscolare genetica chiamata Distrofia muscolare di tipo 1 (DM1), in cui i ricercatori hanno trovato una riduzione di espressione di questo nuovo gene.
“La scoperta di nuovi geni che controllano la qualità dei nostri muscoli apre nuovi orizzonti non solo terapeutici – con la possibilità di sviluppare nuovi farmaci che preservino la forza – ma anche diagnostici” ha sottolineato Marco Sandri.
“Grazie alla conoscenza di questi geni e del loro funzionamento saremo in grado di identificare nuove cure per tutti i pazienti che hanno malattie ereditarie, di cui non si conosce il gene mutato”.
Lo studio, sostenuto in Italia da Fondazione Cariparo e in Francia dalla Fondazione AFM Telethon è stato condotto in stretta collaborazione con un team di ricercatori della prestigiosa McGill University di Montreal, diretto da Gilles Gouspillou e Sabah NA Hussain.