Italiani sempre più obesi, pigri e depressi 

Rapporto osservasalute

A dirlo il nuovo Rapporto dell’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane giunto alla XX edizione. Aumentano le cronicità e non migliora la prevenzione: si rischia la collisione con un sistema sanitario sotto-finanziato e una popolazione sempre più vecchia che tra meno di 30 anni farà salire l’età media del Bel Paese a oltre 50 anni, con tanti anziani e pochissimi bambini. Le cause della mortalità evitabile ci dicono che ancora bisogna migliorare l’adesione ai programmi di screening.

La salute degli italiani è in serio rischio, colpita da cattivi stili di vita e poca prevenzione, nonché da un invecchiamento irrefrenabile della popolazione che vede, in assenza di una quota sufficiente di nuovi nati (nel 2021 i nati sono stati poco più di 400 mila, 4.500 in meno rispetto al 2020), l’età media degli italiani superare i 46 anni; l’età media del Bel Paese supererà i 50 anni tra meno di 30 anni, quando con pochi bambini diverremo un popolo di anziani e adulti attempati. Tutto ciò rischia di entrare in rotta di collisione con un sistema sanitario sempre più fragile e sotto-finanziato, specie se lo si confronta con i sistemi sanitari dell’Unione Europea. I dati parlano chiaro, nel 2022 la spesa sanitaria pubblica si è attestata a 131 miliardi (6,8% del PIL), la spesa a carico dei cittadini a circa 39 miliardi (2% del PIL). I confronti internazionali evidenziano, nel 2020, che la spesa sanitaria dell’Italia, a parità di potere d’acquisto, si è mantenuta significativamente più bassa della media UE-27, sia in termini di valore pro capite (2.609€ vs 3.269€) che in rapporto al PIL (9,6% vs 10,9%). 

Il nostro Paese si colloca al tredicesimo posto della graduatoria dei Paesi UE per la spesa pro capite, sotto Repubblica Ceca e Malta e molto distante da Francia (3.807€ pro capite) e Germania (4.831€), mentre la Spagna presenta un valore di poco inferiore a quello dell’Italia (2.588€). Germania, Olanda, Austria e Svezia sono i Paesi con la spesa pro capite, a parità di potere d’acquisto, più elevata, prossima o superiore ai 4.000€. Per la spesa sanitaria rispetto al PIL, l’Italia occupa la decima posizione insieme alla Finlandia. Francia e Germania sono i Paesi con l’incidenza più elevata, superiore al 12%; i confronti internazionali confermano che la spesa sanitaria in Italia, anche nel primo anno di pandemia, si colloca su livelli inferiori rispetto a quelli di altri importanti Paesi dell’UE (Francia e Germania) e al di sotto della media europea, sia in termini di valore pro capite (2.609€ vs 3.269€) sia in rapporto al PIL (9,6% vs 10,9%). 

Il peso della pandemia si avverte con l’eccesso di mortalità registrato in Italia nel 2020 rispetto al periodo pre-pandemico, che è del +10,2%, tra i più elevati in Europa (anche se il dato potrebbe essere in realtà l’effetto di una sotto-notifica dei decessi COVID-19 negli altri stati membri), superato solo da alcuni Paesi come Spagna e Polonia (rispettivamente 11,0% e 13,2%). La media dei Paesi UE-27 è pari a +5,7%. Nel 2021 l’eccesso italiano (+3,6%) scende sotto la media europea (+7,0%), che rimane elevata a causa dell’impennata nell’eccesso di mortalità nei Paesi dell’Est-Europa (tra questi Bulgaria con +32,3% e Polonia con +21,6%). L’elevato eccesso di mortalità registrato nei due anni di pandemia si è tradotto in una diminuzione della speranza di vita in quasi tutti i Paesi europei con una perdita in media di 1,2 anni di vita attesa nel 2021 rispetto al 2019. L’effetto complessivo sulle aspettative di vita è ancora negativo in tutti gli Stati membri dell’UE, ad eccezione di Lussemburgo (+0,1 anni), Malta e Svezia (stesso livello nel 2019 e nel 2021). L’analisi della mortalità evitabile riconducibile ai servizi sanitari (amenable mortality) – che nel periodo 2018-2019 è pari a 63,98 per 100.000 mentre era 65,53 nel biennio 2016-2017-, mostra che, nonostante la diminuzione complessiva del dato, è ancora molto alta la quota di decessi attribuibili ai tumori e alle malattie cardiocircolatorie: infatti, il 70% dei decessi evitabili registrati negli ultimi 2 anni disponibili è dovuto, ai tumori maligni del colon e del retto (19,13%), alle malattie cerebrovascolari (17,96%), ai tumori maligni della mammella (16,88%) e malattie ischemiche del cuore (16,03%). Questi decessi si sarebbero potuti evitare se le condizioni che li hanno causati fossero state intercettate per tempo con le campagne di screening. I valori più bassi tra le regioni si registrano nella PA di Trento (46,42 per 100.000) e più alti in Campania (81,41 per 100.000). L’emergenza sanitaria per la gestione della pandemia da COVID-19 ha, infatti, lasciato il segno e si è tradotta, da una parte, in un ritardo e in una conseguente sostanziale riduzione dell’offerta dei programmi di screening organizzati da parte delle ASL e, dall’altra,  in una riduzione di adesione da parte della popolazione, con il risultato che nel 2020 si osserva il rallentamento del trend in crescita della copertura dello screening mammografico che si andava registrando negli anni precedenti (come accade per gli altri screening oncologici), in particolare il ricorso allo screening su iniziativa spontanea tende ad aumentare soprattutto nelle regioni meridionali. Secondo i dati PASSI, nel periodo 2020-2021 il 47% della popolazione target femminile si è sottoposta a screening per il tumore della cervice uterina (Pap test e/o HPV test), aderendo ai programmi offerti dalle ASL, ma una quota rilevante, pari al 30%, si è sottoposta a screening cervicale a scopo preventivo e nei tempi raccomandati per iniziativa spontanea. Nel Nord e nel Centro la quota di donne che si sottopone a screening per il tumore della cervice uterina nell’ambito di programmi organizzati è significativamente maggiore della quota di donne che lo fa su iniziativa spontanea (60% vs 25% nel Nord e 53% vs 32% nel Centro); nelle regioni meridionali la quota di donne che si sottopone a screening nell’ambito di programmi organizzati è fra le più basse (34%) e confrontabile con la quota di donne che lo fa su iniziativa spontanea. Anche in questo caso, l’emergenza sanitaria per la gestione della pandemia ha lasciato il segno e si è tradotta, da una parte, in un ritardo e in una conseguente sostanziale riduzione dell’offerta dei programmi di screening organizzati da parte delle ASL e, dall’altra, in una riduzione di adesione da parte della popolazione. La copertura media nazionale dello screening per il tumore del colon-retto è molto lontana dall’atteso: dai dati PASSI 2020-2021, il 44% della popolazione target riferisce di essersi sottoposta, a scopo preventivo, ad uno degli esami (ricerca del SOF negli ultimi 2 anni oppure colonscopia/retto-sigmoidoscopia negli ultimi 5 anni) per la diagnosi precoce dei tumori colorettali. Forte il gradiente geografico Nord-Sud ed Isole: la copertura dello screening per il tumore del colon-retto raggiunge valori più alti fra i residenti al Nord (67%), ma è significativamente più basso fra i residenti del Centro (56%) e del Sud e Isole (25%). Ampia la variabilità fra regioni: il dato più elevato di copertura si registra in Friuli Venezia Giulia con il 73%, quello più basso in Calabria con il 10% (dati standardizzati per genere ed età).

È fondamentale anche guardare all’assistenza territoriale, perché è sul territorio che si disegnerà la sanità del futuro: in questo ambito si noti che le prime visite specialistiche effettuate nel 2021 ammontano a 23 milioni e 600 mila (delle quali i due terzi prescritte dai MMG). Si tratta di un numero ancora inferiore all’anno pre-pandemico: nel 2019 erano circa 26 milioni e 700 mila. Per quanto riguarda invece le visite specialistiche di controllo nel 2021 ne sono state erogate 25 milioni e 243.346, delle quali circa il 58% prescritte da un medico specialista; nel 2019 erano circa 32 milioni e 700 mila. 

Il volto degli italiani fragile e segnato da rughe – L’età media della popolazione, che è pari a 46,2 anni nel 2022 si stima raggiungerà i 50,6 anni nel 2050. Inoltre, nei prossimi decenni si prevede proseguirà il calo della popolazione residente dovuto al protrarsi del regime di bassa fecondità e alla graduale diminuzione dei flussi migratori dall’estero. Si prevede, infatti, che la popolazione residente passerà dai 59,2 milioni di abitanti attuali ai 54,2 milioni di abitanti residenti nel 2050. L’Italia ha anche un altro triste primato, figlio di un welfare scarno che non aiuta le famiglie: è il Paese in Europa con la percentuale più alta di madri di 35-40 anni, il 35,4%, ovvero oltre una neo-mamma su tre.

Gli italiani sono sempre più in sovrappeso (il 12% della popolazione, quasi 6 milioni di adulti, è obesa e, complessivamente, il 46,2% dei soggetti di età ≥18 anni è in eccesso ponderale) e poco attivi, con più di un terzo delle persone (33,7%) che ha dichiarato di non praticare sport o attività fisica nel tempo libero (30,3% degli uomini e 36,9% delle donne). La sedentarietà è dilagante anche tra i più giovani. Infatti, si evidenzia tra il 2020 e il 2021 un forte decremento della pratica sportiva tra i bambini e adolescenti di età 3-17 anni. In queste classi di età tra il 2020 e il 2021 si è osservato un vero e proprio crollo della pratica sportiva specialmente di tipo continuativo, diminuita di circa 15 punti percentuali (dal 51,3% al 36,2%) e compensata soltanto in parte dalla pratica di qualche attività fisica (dal 18,6% al 26,9%), svolta in modo destrutturato e, quindi, al di fuori delle palestre e dei centri sportivi interessati dalle chiusure. La sedentarietà è, infatti, aumentata dal 22,3% al 27,2%. Il diabete, poi, dilaga tra gli obesi (il 15,5% di loro ne soffre) e i sedentari (quasi il 12%).

Gli italiani sembrano sempre più depressi: a partire dagli anni 2011-2012, a livello nazionale il volume prescrittivo dei farmaci antidepressivi ha registrato inizialmente un lieve aumento, pari a +1,8% dal 2013 al 2016, mentre successivamente l’aumento è stato decisamente più significativo, con i valori che tra il 2017 ed il 2021 hanno registrato un +10,4%. Nel 2021 il consumo di farmaci antidepressivi è stato di 44,6 DDD/1.000 ab die, facendo registrare un aumento del 2,4% rispetto al 2020. 

E l’ambiente in cattiva salute ci fa ammalare – Riguardo ai fattori di rischio ambientali, il Rapporto mette in luce che, nel 2020, nelle acque superficiali, sono stati trovati pesticidi nel 55,1% dei punti di monitoraggio (nel 2018 la percentuale era 77,3% e nel 2017 era 72,4%). La maggiore presenza di pesticidi in Umbria (94,1%), Puglia (86,4%), Sicilia (81,6%), superano il 70% Piemonte, Lombardia e Veneto. 

È quanto emerge in estrema sintesi dal XX Rapporto Osservasalute 2022, curato dall’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane che opera nell’ambito di Vihtali, spin off dell’Università Cattolica, presso il campus di Roma. Questa nuova edizione di 628 pagine è frutto del lavoro di 225 ricercatori distribuiti su tutto il territorio italiano che operano presso Università, Agenzie regionali e provinciali di sanità, Assessorati regionali e provinciali, Aziende ospedaliere e Aziende sanitarie, Istituto Superiore di Sanità, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori, Ministero della Salute, Agenzia Italiana del Farmaco, Istat.

“Il settore della sanità sta uscendo faticosamente dalla crisi generata dalla pandemia. Non siamo ancora in grado di stabilire quali ‘danni collaterali’ alla salute degli italiani abbia causato l’emergenza sanitaria. Quel che è certo è che non ci sarà un aumento consistente del finanziamento ordinario del Servizio Sanitario Nazionale da parte dello Stato, come testimonia lo stanziamento previsto nel DEF 2023 che prevede, per il 2025, 135 miliardi di euro e, per il 2026, 138 miliardi di euro. Si tratta di stanziamenti che lasciano sostanzialmente invariata la quota di ricchezza nazionale allocata sulla sanità pubblica, il 6,2% del Pil” – fa notare il direttore scientifico di Osservasalute Alessandro Solipaca. 

“In Italia si corre il rischio di avere una tempesta perfetta, cioè da un lato l’aumento dei fattori di rischio per diverse malattie legati sia alla demografia della popolazione, sia all’epidemiologia con un importante aumento delle malattie croniche – sottolinea il professor Walter Ricciardi, direttore di Osservasalute e ordinario di Igiene Generale e Applicata Dipartimento di Scienze della Vita e Sanità Pubblica Università Cattolica, Campus di Roma, nonché Presidente del Mission Board for Cancer, Commissione Europea – e dall’altro il deterioramento forte di un Servizio Sanitario Nazionale che riesce sempre meno a garantire anche i servizi essenziali. Si allungano le liste d’attesa, mentre i pronto soccorso sono sempre più affollati e sempre più in ritardo, loro malgrado, nel dare risposte tempestive ai cittadini”.

“Bisogna che la salute e la sanità diventino una priorità dei decisori – aggiunge Ricciardi – cosa che in questo momento non è, bisogna anche che la popolazione diventi più consapevole di questa emergenza sanitaria, perché molto spesso i cittadini si rendono conto di questo deficit assistenziale solo quando hanno un problema di salute. Bisognerebbe cercare di garantire alla più grande opera pubblica del Paese, che è il Servizio Sanitario Nazionale, adeguati finanziamenti e supporto in tutte le regioni italiane”. Ed è proprio in occasione dei venti anni di Osservasalute che emerge con evidenza dirompente come “le disuguaglianze regionali in termini di assistenza sanitaria siano aumentate nel tempo, il che determina una sempre più forte spaccatura del Paese in cittadini di serie A e cittadini di serie B”, sottolinea il professor Ricciardi. 

APPROFONDIMENTI

Pochi figli e tanti anziani, Italia sempre più vecchia

Il numero medio di figli per donna per il complesso delle residenti è, nel 2021, pari a 1,25 (italiane 1,18 e straniere 1,87 figli per donna). Anche con riferimento a questo indicatore si riscontrano notevoli differenze territoriali. Il numero medio di figli per donna è, infatti, pari a 1,72 nella PA di Bolzano rispetto a 0,99 registrato in Sardegna. L’età media al parto rimane elevata, pari a 32,4 anni (italiane 32,8 anni e straniere 29,7 anni). La popolazione ultracentenaria va rapidamente aumentando sia in termini assoluti che relativi. Nel 2013 quasi tre residenti su 10.000 hanno 100 anni ed oltre. In questo segmento di popolazione le donne sono estremamente più numerose. La popolazione di età 65 anni ed oltre rappresenta il 23,9% della popolazione residente ossia più di una persona su cinque ha 65 anni ed oltre.

Speranza di vita compromessa dal COVID-19

Il 2020 e il 2021 sono stati 2 anni drammatici, che hanno visto la comparsa della pandemia di COVID-19, con l’Italia che è stata duramente colpita in termini di decessi. Di conseguenza, la speranza di vita ha subìto forti perdite nel 2020 e un parziale recupero nell’anno successivo (2021); il 2022 è stato caratterizzato da una situazione di lieve ripresa per gli uomini e di stabilità per le donne. Al 2022, dai dati provvisori forniti dall’Istat, la speranza di vita alla nascita è pari a 80,5 anni per gli uomini e 84,8 anni per le donne ed è la PA di Trento a presentare la maggiore durata media di vita (rispettivamente, 81,9 anni e 86,3 anni); la speranza di vita più bassa si registra in Campania, tanto per gli uomini (78,8 anni) quanto per le donne (83,1 anni). Nel complesso, rispetto alla situazione pre-pandemica, sono gli uomini del Mezzogiorno che hanno perso più anni di speranza di vita. Dal 2019 al 2022, a livello regionale, il Molise e la Puglia hanno subito le maggiori perdite (rispettivamente, -1,2 anni e -1,1 anni). La regione che ha perso meno anni di vita è la PA di Trento (-0,1 anni). Al 2022, rispetto al 2019, per le donne ci sono meno differenze geografiche rispetto agli uomini. Le regioni maggiormente sfavorite sono il Molise (-1,3 anni), la Calabria e la Sardegna (-1,0 anni). Hanno perso di meno la PA di Trento e la Basilicata (-0,3 anni). Tutte le regioni, comunque, hanno subito diminuzioni rispetto al 2019. Riguardo alla speranza di vita a 65 anni, a livello nazionale nel 2022, si registrano i seguenti dati: 18,9 anni per gli uomini e 21,9 anni per le donne. A livello regionale, per il genere maschile, la PA di Trento è in testa alla classifica (19,8 anni). Sono invece gli uomini della Campania a presentare la speranza di vita a 65 anni più bassa (17,8 anni). Per le donne, il primato spetta alla PA di Trento (23,3 anni), seguita da PA di Bolzano (22,7 anni). 

Sovrappeso e obesità 

In Italia, nel 2021, il 12% della popolazione (quasi 6 milioni di adulti) è obesa e, complessivamente, il 46,2% dei soggetti di età ≥18 anni risulta essere in eccesso ponderale. Raggruppando per macro-regioni, si osserva che, dal 2001, i maggiori incrementi percentuali si sono realizzati nelle regioni del Nord-Ovest: l’incidenza di maggiorenni obesi è cresciuta del 45,8%. Le differenze rilevate sul territorio si mantengono considerevoli anche nel 2021: nel confronto regionale si evidenzia una differenza di quasi 11 punti percentuali tra la regione con incidenza più alta di persone in sovrappeso e quella con l’incidenza più bassa (40,7% in Basilicata vs 29,9% in Valle d’Aosta) e di 6,6 punti percentuali in riferimento all’incidenza di obesità (15,8% in Molise vs 9,2% nella PA di Trento). La variabile età è una discriminante per l’aumento ponderale: al crescere dell’età aumenta la percentuale di popolazione in condizione di eccesso di peso (in sovrappeso o obesa). La percentuale di persone in condizione di sovrappeso passa dal 15,1% della fascia di età 18-24 anni al valore massimo del 42,9% tra i 65-74enni; anche l’obesità passa dal 4,3% al 17,6% per le stesse fasce d’età.  

Attività fisica 

Nel 2021, in Italia, le persone di età 3 anni ed oltre che dichiarano di praticare uno o più sport nel tempo libero sono il 34,5% della popolazione, pari a circa 20 milioni 137 mila persone. Tra questi, il 23,6% si dedica allo sport in modo continuativo, mentre il 10,9% in modo saltuario. Coloro che, pur non praticando uno sport, svolgono un’attività fisica sono il 31,7% della popolazione, mentre i sedentari sono circa 19 milioni 680 mila, pari al 33,7% della popolazione. I dati di lungo periodo evidenziano fino al 2020 un aumento della propensione alla pratica sportiva in modo continuativo (dal 19,1% del 2001 al 27,1% del 2020). Tuttavia, nel 2021 lo sport continuativo subisce una contrazione (dal 27,1% al 23,6%), mentre aumenta leggermente lo sport saltuario (dal 9,5 al 10,9%) e in misura più decisa la pratica di attività fisica (dal 28,1% al 31,7%). Tale andamento può essere ricollegato al cambiamento negli stili di vita indotto dalle misure di contrasto alla pandemia di COVID-19, che hanno per lungo tempo ridotto la possibilità di svolgere attività sportiva strutturata negli ambienti chiusi di palestre, piscine e impianti sportivi. Malgrado i miglioramenti nel tempo in termini di pratica fisico-sportiva, più di un terzo delle persone (33,7%) ha dichiarato di non praticare sport o attività fisica nel tempo libero (30,3% degli uomini e 36,9% delle donne). L’analisi territoriale mostra una differente attitudine alla pratica sportiva, in cui le regioni del Meridione si caratterizzano per la quota più bassa di persone che dichiarano di dedicarsi allo sport nel tempo libero, fatta eccezione per l’Abruzzo e la Sardegna dove, rispettivamente, il 35,3% e il 31,9% dichiarano di praticare attività sportiva in modo continuativo o saltuario. Anche per quanto riguarda la pratica di qualsiasi attività fisica, si registra un gradiente decrescente da Nord verso Sud e Isole. La sedentarietà, invece, è inversamente proporzionale al trend sinora registrato: emerge che, nella maggior parte delle regioni meridionali, più della metà della popolazione non pratica sport né attività fisica. Lo sport è un’attività del tempo libero fortemente legata all’età: la passione per lo sport è un tratto distintivo dei più giovani e raggiunge nel 2021 le quote più elevate tra i maschi di età 11-17 anni (il 61,1%, di cui 48,8% in modo continuativo e 12,3% in modo saltuario). Specialmente a partire dai 25 anni le quote diminuiscono progressivamente fino a raggiungere il 7,9% tra gli ultra 75enni. Nel trend temporale, si evidenzia tra il 2020 e il 2021 un forte decremento della pratica sportiva tra i bambini e adolescenti di età 3-17 anni. In queste classi di età tra il 2020 e il 2021 si è osservato un vero e proprio crollo della pratica sportiva specialmente di tipo continuativo, diminuita di circa 15 punti percentuali (dal 51,3% al 36,2%) e compensata soltanto in parte dalla pratica di qualche attività fisica (dal 18,6% al 26,9%), svolta in modo destrutturato e, quindi, al di fuori delle palestre e dei centri sportivi interessati dalle chiusure. La sedentarietà è, infatti, aumentata dal 22,3% al 27,2%. L’analisi di genere mostra delle forti differenze uomo-donna, con livelli più elevati di pratica sportiva tra gli uomini in tutte le fasce di età, ad eccezione dei giovanissimi (3-5 anni), fascia in cui la quota di praticanti è analoga tra bambine e bambini (15,8% le prime vs il 16,2% i secondi). In tutte le altre fasce di età i livelli di pratica sportiva sono molto più alti fra gli uomini, anche se nel tempo si registra un incremento favorevole per le donne con conseguenza di una riduzione del gap di genere.

Fumo

Nel 2021 sono quasi 10 milioni le persone di età 14 anni ed oltre fumatrici, pari al 19,0% della popolazione in questa fascia di età. Un dato sostanzialmente stabile negli ultimi anni dopo una diminuzione costante registrata nell’ultimo ventennio (era il 23,7% nel 2001; il 18,6% nel 2020, il 18,4% nel 2019 ed il 19,0% nel 2018). Si conferma il differenziale tra uomini e donne rispetto all’abitudine al fumo: nel 2021 sono fumatori il 22,9% degli uomini (5 milioni e 800 mila) rispetto al 15,3% delle donne (4 milioni e 160 mila), sebbene la forbice si sia ridotta negli anni. Differenze di genere ancora più marcate si registrano tra gli ex-fumatori: il 18,2% delle donne vs il 30,2% degli uomini.  Nel 2021 la regione in cui si registra il numero maggiore di fumatori è la Toscana con il 22,4%, segue il Lazio con il 21,4%. La regione con la percentuale più bassa di fumatori (14,9%) è il Veneto; seguono Calabria (16,4%) e PA di Trento (17%). Inoltre, nel corso del 2021, tra i fumatori, la fascia di età con le differenze più elevate rispetto al valore medio è, per gli uomini, quella tra i 25-54 anni e, per le donne, tra i 20 e i 44 anni. Anche nel 2021 la prevalenza di ex-fumatori nella popolazione di età 14 anni ed oltre si mantiene stabile, infatti, nel 2021 presenta un valore pari al 24,0%, senza variazione significativa rispetto al 2020. Sigaretta elettronica (e-cig, HnB). Nel 2021, il 2,8% delle persone di età 14 anni ed oltre (circa 1 milione e mezzo) ha dichiarato di utilizzare la sigaretta elettronica. Nel 2014, il primo anno nel quale l’Istat ha cominciato a rilevare l’uso di questi dispositivi, gli utilizzatori di età 14 anni ed oltre erano circa 800 mila. Così come accade per il fumo tradizionale di sigarette, anche in questo caso gli uomini mostrano una propensione maggiore: risultano fumatori di e-cig il 3,4% degli uomini vs il 2,3% delle donne. L’analisi territoriale mostra che Emilia-Romagna, Lazio ed Umbria (3,5% ciascuna) e Campania (3,1%) sono le regioni con più elevate percentuali di utilizzatori di e-cig. La sigaretta elettronica è utilizzata soprattutto nei giovani e l’uso decresce progressivamente al crescere dell’età, quasi scomparendo tra la popolazione di età 65 anni ed oltre. 

Alcol – Diminuiscono i consumatori a rischio

La prevalenza di consumatori a rischio in Italia, nel 2021, è pari al 20% per gli uomini e all’8,7% per le donne, in calo rispetto ai valori del 2020 (22,9% e 9,4%, rispettivamente); tale differenza di genere è evidente in tutte le realtà territoriali. Tra i giovani (11-17 anni) la prevalenza di consumatori a rischio, nel 2021, è stata del 15,4% e si rileva, a livello nazionale, una diminuzione del 16,8%, statisticamente significativa rispetto al 2020.

Salute Mentale

Come da definizione dell’OMS, anche la Salute Mentale viene compresa nella definizione olistica del concetto di Salute e pertanto, in quest’ottica, risulta essenziale un approccio di tipo multisettoriale e non limitato soltanto all’ambito sanitario. La promozione della Salute Mentale richiede non solo un miglioramento dell’offerta e della qualità dei servizi, ma anche un approccio globale di Public Health, attraverso interventi finalizzati alla riduzione di quei fattori di rischio comuni alla violenza (etero e auto diretta) e ai disturbi psichici (come, ad esempio, l’abuso di alcol e droghe), nonché di politiche mirate a favorire la riduzione delle disuguaglianze e delle discriminazioni.

Ospedalizzazione per disturbi psichici 

Relativamente all’anno 2020, il tasso di dimissione con una diagnosi di disturbo psichiatrico principale o secondaria si è confermato maggiore in Valle d’Aosta, Liguria e PA Bolzano, sia per gli uomini che per le donne. Le regioni con il minor tasso di dimissione per patologia psichiatrica nel 2020 risultano essere Campania, Lombardia e Basilicata per gli uomini e Campania, Lombardia e Sicilia per le donne. I dati del 2021 si confermano pressoché in linea con quanto evidenziato nel 2020 relativamente alle differenze a livello regionale. Per quanto riguarda l’andamento del tasso nel periodo in esame, esso continua a decrescere nel periodo osservato. A causa della crisi sanitaria dovuta al COVID-19, il tasso del 2020 ha fatto registrare il più grande decremento annuo dal 2003, mentre nel 2021 è tornato a crescere, seppur rimanendo inferiore al dato del 2019. Stratificando le tendenze per fascia di età, il dato più significativo riguarda le fasce di età 0-19 anni e 75 anni ed oltre: nel 2020, rispetto al 2019, si assiste alla più grande diminuzione del tasso per entrambe queste fasce di età indipendentemente dal genere; nel 2021, rispetto al 2020, l’aumento del tasso è, invece, più marcato per la fascia di età 0-19 anni rispetto alla fascia di età 75 anni ed oltre.

Consumo di farmaci antidepressivi

A proposito del consumo di farmaci antidepressivi, a partire dagli anni 2011-2012, a livello nazionale il volume prescrittivo dei farmaci antidepressivi ha registrato inizialmente un lieve aumento, pari a +1,8% dal 2013 al 2016, mentre successivamente l’aumento è stato decisamente più significativo, con i valori che tra il 2017 ed il 2021 hanno registrato un +10,4%. Nel 2021 il consumo di farmaci antidepressivi è stato di 44,6 DDD/1.000 ab die, facendo registrare un aumento del 2,4% rispetto al 2020. Dal 2011 la variazione media annua è stata dell’1,5%. Nel 2021, il consumo di farmaci antidepressivi è aumentato in tutte le regioni. Come negli anni precedenti, si è osservata una notevole variabilità regionale, con una differenza quasi doppia tra la regione con il consumo più elevato, la Toscana (66,3 DDD/1.000 ab die), e quella con il consumo più basso, la Basilicata (34,9 DDD/1.000 ab die). Nello stesso anno consumi elevati si sono registrati anche in Liguria (58,7 DDD/1.000 ab die), Umbria (57,6 DDD/1.000 ab die), PA di Bolzano (57,1 DDD/1.000 ab die) ed Emilia-Romagna (55,1 DDD/1.000 ab die), che avevano già registrato il maggior consumo di farmaci antidepressivi anche nel 2020. Inoltre, nel 2021 come nel 2020, le regioni del Sud e le Isole hanno mostrato valori di consumo più bassi, ed in particolare, Basilicata (34,9 DDD/1.000 ab die), Campania (35,1 DDD/1.000 ab die), Sicilia (35,7 DDD/1.000 ab die) e Puglia (35,8 DDD/1.000 ab die) hanno registrato livelli di consumo decisamente più bassi rispetto alla media nazionale. Il maggior aumento si è verificato in Friuli Venezia Giulia (+7,3%), mentre il minore è stato in Calabria (+0,3%).

Le cronicità

Da diversi anni è ormai noto come la popolazione italiana stia progressivamente andando incontro ad invecchiamento. Il continuo calo demografico e l’incremento globale dell’aspettativa di vita sono i due fattori maggiormente associati a tale fenomeno. Questo progressivo invecchiamento si correla con l’aumento di numerose patologie croniche, che insorgono ad un’età sempre più giovane, e ad una crescita esponenziale della spesa sociale, legata anche all’andamento del mercato del lavoro e ai provvedimenti sui sistemi pensionistici. Al fine di scegliere i modelli organizzativi più adeguati a rispondere a questo cambiamento inevitabile, è importante tenere in considerazione che gli obiettivi di cura nei pazienti con cronicità, non potendo essere rivolti alla guarigione, sono finalizzati al miglioramento del quadro clinico e dello stato funzionale, alla minimizzazione della sintomatologia, alla prevenzione della disabilità e al miglioramento della qualità di vita. Prevalenza delle patologie croniche a elevato impatto sociale tra gli assistiti dai Medici di Medicina Generale aderenti al network Health Search. Nel 2021, l’ipertensione arteriosa è risultata la patologia maggiormente riscontrata nei pazienti in carico agli 800 MMG validati del network Health Search (HS), il 29,7% degli assistiti. Questa ha preceduto i disturbi tiroidei (con l’eccezione dei tumori tiroidei), con il 17,1%, l’osteoartrosi, il 15,9%, l’asma bronchiale, il 9,1%, il diabete mellito tipo 2, con l’8,1%, l’ictus ischemico, con il 4,7%, le malattie ischemiche del cuore, il 4,3%, la BPCO, con il 2,9%, lo scompenso cardiaco congestizio, con l’1,2%, e, infine, la malattia di Parkinson con lo 0,3% dei pazienti assistiti. La gran parte delle patologie prese in esame ha mostrato una crescita nelle stime di prevalenza dal 2016 al 2019; stime che tuttavia sono risultate in calo o stabili nel 2020 e nel 2021. Fanno, tuttavia, eccezione l’ipertensione, i disturbi tiroidei e l’asma, che hanno mostrato un andamento crescente in tutto il periodo considerato. Le stime di prevalenza maggiori nelle donne rispetto agli uomini hanno riguardato l’ipertensione arteriosa, l’osteoartrosi, i disturbi tiroidei (con l’eccezione dei tumori tiroidei) e l’asma bronchiale. Diversamente, le patologie associate a stime di prevalenza maggiori negli uomini rispetto alle donne comprendevano il diabete mellito tipo 2, l’ictus ischemico, le malattie ischemiche del cuore, la BPCO, lo scompenso e, infine, la malattia di Parkinson. Prevalenza di multicronicità tra gli assistiti dai Medici di Medicina Generale aderenti al network Health Search. La prevalenza di pazienti con multicronicità (ossia con almeno due delle patologie croniche analizzate in precedenza) in carico alla Medicina Generale del network HS risulta in crescita dal 2016 (22,6%) al 2019 (24,4%). Questa rimane pressoché costante nel 2020 (24,5%), per poi mostrare un nuovo innalzamento nel 2021 (25,0%). Tale prevalenza appare più elevata nel genere femminile rispetto a quello maschile in tutti gli anni considerati e, nel 2021, risulta pari al 28,4% tra le donne e al 21,4% tra gli uomini. A livello regionale si nota che le regioni con un dato sensibilmente superiore al valore nazionale sono Campania (34,8%), Calabria (29,3%), Puglia (27,5%), Basilicata (27,4%), Abruzzo/Molise e Sicilia (27,0% entrambe), Lazio e Sardegna (25,8% entrambe). La combinazione di patologie croniche più frequente, nel 2021, tra i soggetti presenti in HS con due patologie concomitanti è stata ipertensione e osteoartrosi (23,7%), seguita da ipertensione e disturbi tiroidei (18,1%) e da ipertensione e diabete mellito tipo 2 (11,6%). Nel gruppo di pazienti con tre patologie croniche concomitanti la combinazione più frequente è stata ipertensione, osteoartrosi e disturbi tiroidei (20,7%), a cui si aggiunge il diabete mellito tipo 2 nei soggetti con quattro patologie (12,8%).

Assorbimento di prestazioni sanitarie generato dalle multicronicità tra gli assistiti dai Medici di Medicina Generale aderenti al network Health Search

I pazienti del network HS con multicronicità, nel 2021, hanno generato il 57,7% dei contatti con il MMG; valore in calo rispetto a quanto emerso per il 2020. La proporzione di contatti risulta più elevata nel genere femminile rispetto a quello maschile ed aumenta all’aumentare dell’età, raggiungendo il picco massimo tra i soggetti di età 85-89 anni, per entrambi i generi. Prevalenza di multicronicità tra i pazienti con infezione da SARS-CoV-2 assistiti dai Medici di Medicina Generale aderenti al network Health Search. La cronicità e la multicronicità in generale sono fattori noti per essere associati ad un aumento di probabilità di contrarre l’infezione da SARS-CoV-2 nonché di andare in contro ad esiti gravi, come ospedalizzazione o decesso. Un quarto dei pazienti assistiti dai MMG del network HS, colpiti da SARS-CoV-2 nel periodo 2020-2021, erano affetti da multicronicità, con valori più elevati nel genere femminile rispetto a quello maschile. Inoltre, si osserva un aumento nella prevalenza di pazienti affetti da multicronicità all’aumentare dell’età, con il picco nei pazienti di età compresa tra 85-89 anni. A livello regionale, la Campania, seguita da Sicilia, Puglia, Basilicata, Abruzzo/Molise, Calabria, Sardegna e Friuli Venezia Giulia, presenta delle stime sensibilmente superiori al valore nazionale. Costi sanitari nella Medicina Generale per la gestione della cronicità all’interno del network Health Search. Nel 2021, il costo medio annuo grezzo della popolazione in carico alla Medicina Generale del network HS, affetta da almeno una patologia cronica di quelle prese in esame, è stato di 697€. Sono presenti differenze di genere nei costi generati; infatti, i pazienti uomini affetti da almeno una patologia cronica hanno generato un costo medio annuo superiore a quello delle donne (M: 712€ vs F: 685€). I costi medi annui sostenuti dal Servizio sanitario Nazionale per i pazienti cronici aumentano progressivamente al crescere dell’età, raggiungendo il picco nelle fasce di età 75-79 anni (1.150€) e 80- 84 anni (1.170€) per poi mostrare una riduzione nelle successive classi di età. Naturalmente anche il numero di patologie croniche concomitanti influisce sul costo medio annuo dei pazienti cronici, con un incremento consistente al crescere del numero di patologie. In particolare, i pazienti con scompenso cardiaco generano il costo medio annuo maggiore, seguito da malattia di Parkinson, malattie ischemiche del cuore, BPCO, diabete mellito tipo 2, ictus ischemico, osteoartrosi, ipertensione arteriosa, disturbi tiroidei e asma bronchiale. Analizzando i pazienti affetti da ipertensione arteriosa emerge che le regioni con un costo medio superiore a quello nazionale grezzo (853€) sono: Friuli, Venezia Giulia (983€), Campania (966€), Trentino Alto Adige (963€), Puglia (949€), Marche (911€), Emilia-Romagna (902€), Abruzzo/Molise (880€), Toscana (864€) ed infine Umbria (860€).

Uno sguardo attento all’assistenza sanitaria sul territorio

L’assistenza territoriale rappresenta un punto nodale per l’organizzazione del Servizio Sanitario Nazionale, sottolinea il dottor Solipaca, in particolare la sua capacità di presa in carico dei pazienti. Due indicatori esemplificativi di questo aspetto sono il numero di prime visite e visite di controllo. Il numero di prime visite, nel 2021, è stato di 23 milioni e 600 mila (delle quali i due terzi prescritte dai MMG). Si tratta di un numero ancora inferiore all’anno pre-pandemico: nel 2019 erano circa 26 milioni e 700 mila. Nel 2021 sono state erogate 25 milioni e 243.346 visite di controllo, delle quali circa il 58% prescritte da un medico specialista; nel 2019 erano circa 32 milioni e 700 mila. Tra il 2019 e il 2021, le regioni in cui la presa in carico e la continuità delle cure mostra la migliore performance sono: il Piemonte, Emilia Romagna e Toscana; quelle con peggiore performance: Campania, Sicilia, Calabria, Marche e Molise. Per quanto riguarda la capacità di intercettare con tempestività pazienti a rischio ed evitare complicanze che degenerino in un ricovero ospedaliero, il Rapporto ha messo in luce che, nel periodo 2020-2021, c’è stato un miglioramento della performance della ASL, riscontrabile nella riduzione dell’ospedalizzazione evitabile, in parte imputabile alla sensibile riduzione dell’ospedalizzazione nel periodo della pandemia. Il livello di performance delle ASL mostra una elevata eterogeneità, sia inter regionale sia intra-regionale. Il dottor Solipaca sottolinea che “l’assistenza territoriale, dopo i limiti palesati durante la pandemia, è il settore sul quale ci si sta concentrando maggiormente. La strategia che si sta perseguendo per la sanità del futuro poggia sui finanziamenti del PNRR e sulla riorganizzazione dell’assistenza territoriale. Gli interventi sono finalizzati a riorganizzare tale forma di assistenza e di modernizzare il sistema, puntando sulla digitalizzazione, per rendere attuabile la modernizzazione dei processi, attraverso la medicina a distanza, lo scambio di informazioni sul paziente tra i professionisti del settore”. “In generale – aggiunge – si punta alla logica della presa in carico dei pazienti, in un sistema di assistenza territoriale basato su un modello organizzativo tipo hub and spoke”. Continua il processo di de-ospedalizzazione, avviato anche a seguito della pandemia: infatti, i ricoveri sono diminuiti in maniera sensibile: -48% tra il 2019 e il 2021, riduzioni inferiori si sono registrate per patologie gravi: malattie cardiovascolari con infarto miocardio acuto e complicanze cardiovascolari (tra l’8% e il 22% a seconda del DRG). Un elemento critico dell’assistenza ospedaliera è l’elevato livello di mobilità dei pazienti, come testimonia l’indice di fuga (ricovero in un’altra regione rispetto a quella di residenza). Nel 2021, è pari al 10,9%, era l’11,1% nel 2019. La maggiore mobilità si riscontra verso strutture private accreditate (6,7%) rispetto alle strutture pubbliche (4,3%). Al Sud si osserva il doppio della mobilità passiva, in Molise e Basilicata, rispettivamente, con il 37,7%, e il 35,9%, mostrano un valore dell’indice di fuga oltre tre volte più alto del valore nazionale di mobilità. Molto alta la mobilità evitabile, cioè i ricoveri caratterizzati da DRG a rischio di inappropriatezza o di complessità medio-bassa, nel 2021 si attesta all’81,9%, più elevata verso le strutture pubbliche (87,4%) e più bassa in quelle private (78,6%). In Molise la quota più alta (86,4%), di contro le regioni con la quota minore sono il Friuli Venezia Giulia (75,8%) e la Toscana (76,3%).

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