Il comparto sanitario italiano va assolutamente rafforzato e se le speranze di ripresa sono affidate al Pnrr, attualmente la produzione dei dispositivi medici nostrani è in discesa, con un aumento di strumenti provenienti dall’Asia.
Con l’emergenza sanitaria cala la produzione dei dispositivi medici made in Italy, innovativi e a chilometri zero, ma aumenta l’import (+4,9%) e diminuisce l’export (-5,3%). A denunciare la situazione i dati del Centro studi di Confindustria Dispositivi Medici che mostrano una contrazione del 13% dei dispositivi prodotti in Italia per un valore complessivo di 6 miliardi di euro a tutto vantaggio di una importazione che ha superato gli 8,5 miliardi.
Negli ultimi due anni abbiamo assistito a un aumento del 30% delle importazioni dall’Asia, acquistiamo per lo più dalla Cina, da cui si registra un incremento delle importazioni del +15,1%, ma preoccupante è la crescita esponenziale che hanno subito le importazioni dalla Corea (+309,9%). Se si guarda ai prodotti, a fare la parte del leone sono le importazioni di dispositivi per la diagnostica in vitro, come tamponi e reagenti, che crescono del 476% dall’Asia. Cresce del 76,5% anche l’importazione di dispositivi elettromedicali dall’Asia e +113,2% dal Sud America. Diminuisce del 100% l’importazione di attrezzature tecniche dall’Africa e del 38,7% dal Nord America.
Di contro l’export registra un generale abbassamento del 5,3% fermandosi a quota 5,4 miliardi con picchi che toccano il -19,5% verso il Regno Unito, seguito dal -14,4% registrato verso la Polonia e -12,3% verso gli USA. È invece aumentata l’esportazione verso il Belgio (+50%) e verso Paesi Bassi (+6,4%) e Spagna (+6%).
“Questi dati sul commercio estero – commenta Massimiliano Boggetti, Presidente di Confindustria Dispositivi Medici – rivelano due criticità presenti nel nostro Paese: la mancanza di una adeguata produzione interna che ci ha spinto a comprare molti beni indispensabili all’estero e la ricerca di prodotti a basso costo che privilegiano il prezzo rispetto alla qualità. In Europa se ne sono accorti e si moltiplicano gli investimenti a rafforzare il tessuto produttivo del comparto nei paesi membri. Finora abbiamo assistito a molte occasioni perse: laddove paesi europei gettavano le basi per costruire un mercato interno forte e autosufficiente, l’Italia mancava di visione non investendo sulla creazione di un tessuto produttivo solido e diversificato. Abbiamo fatto poco o nulla per portare in Italia aziende che hanno all’estero know-how e produzione alla ricerca di condizioni più vantaggiose”.
Eppure il comparto conta 4.546 aziende, che occupano 112.534 dipendenti. Si tratta di un tessuto industriale molto eterogeneo, altamente innovativo e specializzato, dove le piccole aziende convivono con i grandi gruppi. “Ma la corsa all’acquisto dall’estero di prodotti per affrontare la pandemia – ha continuato il Presidente Boggetti -, il rallentamento delle attività ambulatoriali e l’aumento dei costi delle materie prime come il ferro (+51,6%), l’alluminio e l’acciaio inox (+39,5% e +36,3%), ma anche dei materiali plastici (+34,8%) e della componentistica elettronica (+32,1%) hanno penalizzato il settore presente nel nostro Paese”.